Demir e Kirkuk: Torino
e il kebab (artigianale)

26 giugno 2011
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Kebab, ma anche kebap o kabab: l’origine del termine è persiana, ma la caratteristica carne allo spiedo verticale, almeno come la conosciamo noi, è nata in Turchia. In Grecia si produce il Gyros, un piatto simile, ma con carne di maiale. Negli ultimi anni, però, il döner kebab alla turca ha preso sempre più piede nelle città europee e spesso i “kebabbari” vendono prodotti molto simili, importati da grandi aziende tedesche, olandesi e francesi.

A Torino c’è chi ha scelto di produrlo artigianalmente. Demir è turco e dal 2003 gestisce con la moglie e alcune giovani dipendenti un chiosco in legno e vetro in piazza Adriano che ricorda un po’ l’Orient Express. Il locale, tra la strada e il verde, è accogliente, specie d’estate: «La clientela è per lo più di giovani e famiglie, quasi tutti italiani. Non abbiamo alcolici, più per maggiore tranquillità che per motivi religiosi», racconta Demir, che ha anche un altro negozio e un laboratorio per preparare il kebab. E racconta: «Le nostra carni sono piemontesi, vengono da Cuneo e da Asti e sono macellate secondo il rito islamico per cui non c’è il sangue e sono più buone. Il kebab lo prepariamo con le nostre mani. Per mantenerlo morbido usiamo il grasso di vitello, quello di montone è troppo difficile da trovare». La differenza con i prodotti industriali è evidente, e pure la varietà di proposte: non solo il panino e il rotolo, ma anche piatti con verdure, yogurt e riso turco, oppure l’iskender kebab, una versione con dadini di pane, burro caldo, pomodoro e patatine. E per chi volesse qualcosa di diverso si può provare la çorba (zuppa) di lenticchie rosse, cipolle, pomodoro, patate e olio d’oliva. Anche i dolci, non sempre presenti nei negozi di kebab, sono un punto forte: come i şekerpare, paste frolle con mandorle, pistacchi, burro, uova e sciroppo di zucchero.

Per chi preferisce un ristorante dalle luci soffuse e l’atmosfera intima in via Carlo Alberto 16 bis c’è il Kirkuk Café. A gestirlo è Fouad, un curdo dell’Iraq che racconta: «Io, mio fratello e mio cognato siamo originari di Kirkuk: i curdi non hanno uno stato, ma sono presenti in Iran, Iraq, Turchia e Siria. Vengo da una famiglia di ristoratori e ho sempre avuto la passione per la cucina. La nostra attività è nata nel 1996 e dopo i cinesi in pratica siamo stati il primo ristorante etnico a Torino». Anche il suo kebab è diverso da quello delle multinazionali: «Il loro, spesso di vitello e tacchino, costa 5 – 6 euro al chilo. Basta mettere su il cono ed è praticamente pronto. Il costo è la manodopera e nel nostro caso non c’è gran margine di guadagno. Noi usiamo carni italiane: un fornitore di Torino ci porta agnello e vitello fresco almeno 4 volte alla settimana: ne prendo poco per volta e lo faccio marinare».

Ma come si fa un kebab artigianale? Fouad non ha potuto dare la ricetta precisa, ma spiega: «La carne, di vitello e d’agnello, va marinata per uno-due giorni con olio, aceto, pepe nero e sale. Poi va messa sullo spiedo verticale, finché le fettine non formano un cono. Solo a impilarla ci vuole più di un’ora. E la serviamo con riso, grano, mandorle, yogurt, crema di ceci: in tutti i modi». Il gestore ci tiene molto a ricordare quanto la cucina mediorientale non sia soltanto kebab: «C’è ben altro, come il Zareshk Plaw: un riso con ribes, spezzatino di pollo, uvetta, mandorle zafferano e sugo di verdure». La scelta delle bevande è ricca: si va dal té alla menta o al cardamomo allo yogurt da bere con sale e menta, ai numerosi vini libanesi, armeni e greci. Per finire c’è il classico caffè alla turca. Il locale è suggestivo e tranquillo (ma più affollato nel fine settimana). Il colore azzurro è dominante, con lampade, piastrelle e tappeti turchi e iraniani. Per chi cerca un’esperienza particolare c’è anche la sala coi tavolini bassi.

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