I fondenti al cioccolato del Balilla

24 settembre 2011
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Un Balilla con fez e camicia nera di un quaderno d'epoca. La propaganda del regime era capillare e impregnava la quotidianità dei bambini

Un Balilla con fez e camicia nera di un quaderno d’epoca. La propaganda del regime era capillare e impregnava la quotidianità dei bambini

Ancora oggi il nomignolo del Perasso ricorda il fascismo. Nel 1746 il giovane ligure diede il via alla rivolta popolare di Genova contro l’occupazione asburgica. La figura fu strumentalizzata dal regime e da simbolo della sollevazione degli oppressi divenne modello di un’infanzia omologata a una visione militarista del nostro paese e del mondo.

Al “balillismo”, non sfuggì quasi nulla. Le iniziative alternative cattoliche e non chiusero più o meno spontaneamente. Dal 1926 i ragazzi furono “intruppati” nel senso stretto della parola: l’educazione fisica si fuse con la cultura militare e la scuola pubblica divenne un luogo di propaganda. Al fenomeno dell’infanzia coinvolta nella retorica nazionalista e di guerra (anche prima della marcia su Roma) è dedicato un’interessante monografia del prof. Antonio Gibelli, Il popolo bambino.

Oltre al celebre “moschetto”, a Balilla furono intitolati un’automobile, una festa il 5 dicembre, una varietà di grano, sommergibili e biplani. Ma anche diversi cibi, per lo più dedicati ai bambini. I fondenti “balilla”, ad esempio. Nell’entroterra ligure, poi, venivano preparati i cosiddetti Panin du Balilla: rotondi, di leggera pasta frolla e zuccherati in superficie.

Nel dopoguerra il nome cadde in disuso e i dolcetti dell’entroterra divennero Panin du Balin, fino praticamente a sparire. Ciò nonostante, del Perasso restano testimonianze non sospette: un monumento a Portoria (il quartiere, distrutto dall’ultima guerra, oggi è la city di Genova); l’inno di Mameli che alla quarta strofa, si ricorda di lui (i bimbi d’Italia / si chiaman Balilla); il Calciobalilla, che ha fatto divertire più di una generazione in bar, circoli e oratori.

La ricetta di cui parleremo affonda le radici nel ventennio, in particolare al periodo successivo alle sanzioni che seguirono la guerra d’Etiopia. Lo spunto viene dal libro di Sandro Bellei, La cucina autarchica: in quegli anni bisognava fare i piatti con quello che c’era e il regime fece il resto creando il mito dell’autarchia.

La cultura dell’economia domestica da una parte limitò gli sprechi, dall’altra relegò (ancor più) la donna al ruolo di “angelo del focolare”. Ma ne uscirono anche delle ricette di cucina interessanti. Oggi, grazie a decenni di lotta la società è cambiata, ma molte di esse restano e si possono ancora gustare.

Abbiamo voluto ricordare i fondenti “Balilla” al cioccolato. Di cacao ne contenevano ben poco: l’interno, infatti, è zucchero e albume d’uovo. Per farli vi serviranno delle uova freschissime buone da bere crude. I tuorli rimasti potete unirli a un puré di patate o a una pasta fresca oppure potete preparare la pasta frolla per la crostata (servono i rossi), perché qui serve solo il bianco. Se vi avanza un po’ di cioccolato fuso nel pentolino potete allungarlo con un po’ di latte e preparare una bevanda calda. Anche questo rimanda all’origine “autarchica” e povera della ricetta.

Ecco cosa vi serve: 4 albumi d’uovo da bere, 2 etti di zucchero a velo, una tavoletta da 100g di cioccolato fondente o da copertura.

Preparazione: montate i 4 albumi a neve e mescolateli con 2 etti di zucchero a velo fino a ottenere una pasta soda che dividerete in sfere di circa 3 centimetri di diametro. Appoggiate le palline sul piano di lavoro e date un colpetto secco, così che non rotolino. Scaldate il cioccolato fondente a bagnomaria: quando sarà ben sciolto ricoprite interamente le forme di zucchero e albume (per non sporcarvi le dita usate uno spiedino di legno). Lasciate asciugare, meglio in frigorifero. I “balilla” sono pronti.

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