Dalle bugie ai tortelli agli struffoli: le specialità del martedì grasso regione per regione
Anche quest’anno siamo quasi a Carnevale, una festività che non ha una data fissa (varia da febbraio a marzo) e che ha il suo culmine nei giorni compresi tra il giovedì grasso e il martedì grasso che precede il mercoledì delle Ceneri con cui inizia la Quaresima. L’origine del nome ha diverse spiegazioni: si va da carnem levare, cioè togliere la carne secondo una regola ecclesiastica imposta nel Medioevo passando per carna aval, il non mangiare carne fino a Carnalia, un’antica festa romana dedicata a Saturno. I festeggiamenti attuali con maschere hanno anch’essi derivazione romana dalle feste in onore di Bacco che avvenivano per le strade tra balli e fiumi di vino e in cui i partecipanti indossavano appunto una maschera. C’erano poi anche la festa di Cerere e Proserpina, i Saturnalia e varie altre minori.
Il Carnevale è il periodo degli eccessi e buona parte di questi riguardano da sempre il cibo; grande protagonista era il maiale macellato da poco: per esempio fino al Cinquecento, quando nacque il carnevale romano, si aveva la festa chiamata Cuccagna del porco in cui si lanciavano cibi al popolo da palazzo Colonna. Si avevano poi i carri dell’abbondanza che avevano cibi come ornamento.
I piatti tipici del Carnevale nelle varie regioni italiane sono quasi tutti dolci fritti; questo perché in passato ai festeggiamenti erano presenti moltissime persone e si dovevano preparare dolci veloci e a basso costo. Ogni regione ha le sue ricette tipiche le cui origini sono molto antiche; vediamone alcune.
In Friuli possiamo gustare le castagnole e in Emilia e Lombardia i tortelli (o ravioli dolci), fatti di pasta sfoglia e ripieni di marmellata, frutta secca e talora ricotta. A Firenze viene preparata la schiacciata da servire con crema chantilly. Tra i dolci di origine estera consumati anche da noi ci sono i krapfen di cui parla già l’Artusi nel suo testo alla fine dell’800.
Nel centro Italia troviamo la cicerchiata fatta col miele, cosa che testimonia l’antichità della ricetta. Molto simili in apparenza ma con importanti differenze sono gli struffoli napoletani. E sempre a Napoli troviamo anche il cauzone, simile ai ravioli dolci, che tra gli ingredienti prevede il pecorino e le zeppole, ciambelle fritte con e senza ripieno, la cui ricetta è presente già in testi molto antichi e di cui si trova una descrizione poetica ne Il grande libro della pasticceria napoletana in cui sono descritte come le zeppole di Ippolito Cavalcanti.
Le più note e diffuse lungo tutta la penisola sono però le chiacchiere, che cambiano nome a seconda delle regioni: sono dette cenci in Toscana, sfrappole in Emilia; bugie in Liguria e a Torino; crostoli in Friuli, Trentino e parte del Veneto; galani a Venezia e Verona; frappe a Roma. Pare siano di origine romana e derivino dalle frictilia, dolci fritti nel grasso preparati nel periodo che oggi coincide col Carnevale. A seconda del luogo di produzione vengono aromatizzate con Marsala, acquavite, acqua di fiori d’arancio. Oltre che con zucchero a velo le troviamo anche ricoperte da miele, cioccolato, mascarpone zuccherato o bagnate con alchermes. La forma è quella di una striscia che può essere anche annodata per formare dei piccoli fiocchi.
Foto: by deadicated, da Flickr