Più di 1000 pezzi esposti dall'Unità a oggi.
Il Museo Collezione delle latte d’olio dell’Associazione Culturale Guatelli è quasi nascosto in un frantoio secentesco, a lato dell’Italgraf di Chiusanico, azienda di primaria importanza nella produzione di latte da olio. Nel periodo tra le due guerre gli oltre 300 produttori oleari dell’estremo Ponente ligure (e non solo questi) si rivolgevano alle ditte di Imperia per inscatolare il loro prodotto. Prima del boom economico, infatti, l’olio veniva venduto quasi esclusivamente in latte e damigiane per il consumo familiare ed era notevole il quantitativo esportato, in particolare verso gli emigrati italiani nelle Americhe. La latta veicolava il marchio, ma soprattutto l’italianità dell’olio destinato ai nostri concittadini lontani. I mutamenti sociali e la diffusione della bottiglia hanno segnato il declino della latta e le ditte rimaste si sono spostate verso l’interno. Ma ancora oggi il metallo resta il contenitore ideale: evita il contatto dell’olio con la luce e rende più efficiente il trasporto occupando gli angoli.
Entriamo nel museo. Al suo interno un tesoro di circa 6000 pezzi: latte stampate, scatole, colli per damigiana e altri oggetti decorati (1100 circa in esposizione). Il più antico è una latta in zinco del 1865, e si arriva fino ai giorni nostri. La maggioranza sono latte destinato agli emigranti in America: l’olio non si trovava negli Usa e i nostri connazionali acquistavano volentieri un prodotto che ricordasse casa. Più che la qualità dell’olio, le figure narrano la geografia e le tradizioni del Bel Paese. Oggi sarebbe singolare trovare l’effigie di Garibaldi su una scatola di tonno, oppure Colombo sull’olio e sulle alici. Non così allora, e alla realizzazione delle stampe partecipavano importanti disegnatori come Boccasile, celebre per le sue “bonone” e i manifesti di regime.
Un viaggio nella storia e nei costumi italiani. Una parte della collezione – ad esempio – è dedicata alla comunità siciliana di Brooklyn: tra le figure riconosciamo la trinacria, la picciotta, santa Rosalia. A volte città e simboli erano abbinati a caso, come la Grotta Azzurra di Capri sull’olio di Bari. Un’altra sezione rappresenta il teatro e la musica lirica: Otello, Verdi, Rigoletto, Norma, Enrico Caruso danno il nome all’olio. La sezione cinema ci ricorda che don Vito Corleone era un importatore di olio italiano negli Usa: ebbene, ci sono anche le latte di olio Mamma Mia.
Olio santo e con i santi. Alcune confezioni contenevano l’olio per la celebrazione dei Sacramenti. Ma le figure religiose compaiono anche su quello da tavola; tra i più celebri San Gennaro e Santa Rosalia. C’è persino il Papa (dalla distanza non riusciamo a capire se sia Pio XII o Pio X, santificato negli anni ’50).
Infine non manca la politica: tra le molte denominazioni ricordiamo Olio Duce, Il Fascio, Faccetta nera, Tripoli e via discorrendo. Dal militarismo al razzismo successivo alla campagna in Etiopia, i temi cari al regime ci sono pressoché tutti, con la parziale eccezione della guerra.
Ma come nasceva una latta? Tutto iniziava da un disegno (a volte anche d’autore). Il procedimento era complesso e partiva dal cliché in pietra. Si passava dunque alla stampa: qui ogni colore era steso in passaggi successivi dato che il processo in quadricromia non era ancora stato inventato. Infine c’erano la piegatura e il collaudo: inizialmente le latte erano fatte di zinco, poi si è passati all’alluminio, che dà il giusto rapporto tra duttilità e resistenza.
Le curiosità. La collezione Guatelli è preziosa non solo per la storia, ma anche per un fattore tecnico: qui si conservano le prime stampe, che hanno fatto da modello originale di riferimento. I colori, quindi, sono quelli voluti dal committente nella maniera più precisa. Protagoniste sono le latte di olio, ma mancano confezioni di tonno, sardine e biscotti. Tra i pezzi interessanti, inoltre, possiamo trovare esposti i pendolini, cioè le pubblicità dell’olio che si trovavano appese nei negozi. Nella collezione troviamo anche i cappellotti da damigiana creati per evitare che i topi rosicchiassero i tappi. Infine ci sono delle lattine mignon che venivano date ai soldati che facevano le campagne in Africa: esse venivano scambiavate con i soldati autoctoni che usavano olio non per cucinare, ma per ungersi la pelle.
Il museo è aperto su appuntamento: è l’occasione per farsi narrare una storia per ogni latta, o quasi. Noi abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo grazie all’ospitalità di PromoImperia e della Camera di Commercio di Imperia, all’interno degli eventi dell’Expo della Valle Arroscia