Dalle corde al piatto: a Lerici c’è Mytiliade, weekend dedicato ai muscoli

7 settembre 2011
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Lerici, il porto

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Dal 9 all’11 settembre a Lerici ci sarà Mytiliade. L’ evento, giunto alla quarta edizione, è dedicato a uno dei tesori del Golfo della Spezia: i muscoli.

Il programma (scarica la versione completa) è ricco di iniziative, incontri con cuochi e sommellier, spettacoli e laboratori che spaziano dalla cucina ai vini e dalle tradizioni marinare alla ricerca scientifica.

Nel fine settimana sarà possibile fare una gita in battello nel golfo con visita guidata agli impianti di mitilicoltura e itticoltura. Le partenze (partecipazione gratuira) sono da Calata Mazzini sabato e domenica (10.00, 12.00, 14.00, 16.00). Gli stand espositivi con prodotti tipici liguri si trovano sul lungomare e aprono venerdì (17-30-22-00), sabato (10.00-22.00) e domenica (10.00-19.00).

Ma cosa c’è dietro a una rete di muscoli? L’ allevamento di questi molluschi deve essere effettuato in una zona di mare poco profonda, ben riparata dai venti e dalle correnti. D’estate i mitilicoltori raccolgono, scelgono e puliscono i mitili, mentre in inverno si dedicano alla manutenzione del vivaio.

Le zone storiche della mitilicoltura in Italia sono il tarantino, il messinese e lo spezzino. Più recentemente hanno aperto allevamenti notevoli anche in Sardegna (Olbia) e sull’Adriatico.

Nello spezzino la mitilicoltura, come racconta il portale della cooperativa spezzina, iniziò nel 1887. I vivai, gestiti da piccoli imprenditori, si trovano nei pressi della diga foranea, a Portovenere e all’isola Palmaria, acque pulite e tranquille contese da più di cent’anni dalla pesca, il turismo e gli arsenali militari.

In origine si piantavano sui fondali dei pali in robusto legno di castagno. I pali venivano uniti a pelo d’acqua con un reticolo di funi di erbe palustri dette ventie. A esse erano attaccate altre corde dette pergolari a tre trefoli intrecciati insieme alla sementa dei mitili. Le giovani larve, uscite dalle uova, dopo aver trascorso qualche giorno nuotando in mare, si attaccavano e crescevano sulle corde.

 

Non sempre è stato tutto facile. Nell’agosto del 1973 a Napoli scoppiò un’epidemia di colera causata dal deteriorarsi delle condizioni igieniche e dal mancato smaltimento dei rifiuti. Il focolaio si estese fino a Bari e morirono 30 persone. Il mercato ittico, in particolare quello dei molluschi reputati (anche troppo) a rischio, finì in ginocchio. Sui giornali il mitile divenne sinonimo di malattia e molti vivai andarono in rovina.

Da allora ci sono stati grandi cambiamenti che hanno reso i “muscoli” un cibo più che sicuro. I vivai posti in zone non perfettamente salubri sono stati chiusi, si sono introdotti  controlli severi sull’intera lavorazione e sono state costruite strutture dedicate alla purificazione dei molluschi.

Oggi i pali sono in ferro zincato e le ventie di erbe palustri sono state sostituite da pratiche funi di nylon. Le pergolari, invece, sono state sostituite da reti di plastica a calza tubolare. Ma il lavoro nei vivai resta impegnativo: bisogna uscire in mare quasi tutto l’anno con lo schio (una barca robusta a fondo piatto trainata da un mezzo a motore). E se un palo dura 6-7 anni, la rete va sostituita spesso perché i mitili si insinuano tra le maglie attaccandosi con la loro “seta”, il bisso. Si tratta dello stesso filamento che rende laboriosa la pulizia dei molluschi prima di cucinarli. Ma di fronte a una marinata dal profumo di mare, si sa: ne è valsa la pena.

Foto: by Bk2000, da Flickr

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